giovedì 16 settembre 2010

La deriva provincialista

Nord e sud, immigrati e italiani, nuove e vecchie generazioni, giustizialisti e garantisti. Il gioco dei contrapposti potrebbe continuare all’infinito, ma rappresenta in pieno lo stato attuale della nostra società. Sembra che per vivere meglio ci sia bisogno di un soggetto cui opporre le proprie aspirazioni. Ci sentiamo orfani di nemici, da ricercare in ogni situazione che viviamo.
Il fenomeno forse è sempre esistito, ma negli ultimi decenni ha assunto un altro aspetto. Mentre in passato la contrapposizione riguardava grandi blocchi ideologici, come Capitalismo e Comunismo, che dividevano intere aree geopolitiche, oggi il cerchio si è ristretto a un ambito provinciale.
La mancanza di un partito politico di sintesi, capace di mediare tra le diverse visioni del paese, sta aggravando il processo di frammentazione sociale. In un articolo pubblicato sul Sole24ore del 14 settembre 2010 firmato da Lina Palmieri, il politologo Paolo Pombeni parla di “partiti parrocchia” per definire il carattere provincialistico degli attuali partiti politici. Il termine utilizzato sintetizza perfettamente il nuovo modo di fare politica. I partiti nazionali stanno cedendo il passo a partiti locali espressione d’interessi specifici, spesso egoistici e contrapposti all’interesse generale.
Di conseguenza, più l’interesse diventa personale, più ci saranno altri interessi personali contrapposti. Non è un caso che negli ultimi anni sta aumentando il fenomeno del campanilismo all’interno di regioni, province e comuni. L’Emilia vuole staccarsi dalla Romagna, le provincie del Lazio non sopportano le dimensioni di Roma, per non parlare delle innumerevoli richieste di nuove province o le battaglie tra città per le assegnazioni di sedi distaccate di ministeri, assessorati e altre istituzioni. Dietro ogni fenomeno di localismo c’è sempre un partito politico (o un politico) che intende sfruttare la situazione per averne un ritorno elettorale.
Il problema è sempre lo stesso, l’interesse specifico prevale su quello comune. Gli ultimi interventi di Bossi e Calderoli vanno in questa direzione, proponendo un messaggio che mira a togliere agli altri piuttosto che proporre argomentazioni costruttive. Si esorcizzano i problemi che in una nazione sono normalissimi, come l’immigrazione, la delinquenza, la disoccupazione (solo per citarne alcuni), si trova qualcuno contro cui puntare il dito e poi si propongono soluzioni stravaganti come pseudo - rivoluzioni, pseudo - secessioni, ecc. . Tutto ciò avviene a livello nazionale e si ripropone facilmente anche ai livelli più bassi, perché si tratta di sfruttare una tendenza comune a tutti gli uomini che preferiscono cercare dei responsabili per le proprie difficoltà, piuttosto che riconoscere i propri errori.
Nell’attuale situazione di stress economico, che l’Italia sta attraversando, quello che si deve evitare è proprio la politica dei contrapposti. La scarsità di risorse non deve farci cadere nell’errore di pensare che ci manchi qualcosa per colpa di qualcun altro. La politica della riflessione deve prevalere sulla politica della pancia. Per far ciò serve un partito nazionale, responsabile, capace di esercitare una forza centripeta sintetizzante, per contenere le spinte centrifughe verso alla frammentazione sociale. E’ fondamentale, quindi, ricreare un partito che non sia alla stregua di una lobby massonica, una sommatoria d’interessi particolari, ma che sia capace di investire le proprie risorse economiche e umane in una politica d’interesse comune. Abbandonare il principio dell’orticello, per afferrare il treno della globalizzazione senza esserne travolti. Porre la propria fiducia nelle nuove generazioni, affinché anch’esse abbiano la possibilità di creare le condizioni per affrontare al meglio il futuro che li attende.

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