mercoledì 22 settembre 2010

Non è un paese per famiglie

Le tematiche inerenti la famiglia sembrano non trovare posto nell’agenda politica. Ci sarà altro di più importante di cui discutere, non c’è dubbio, ma pensare ogni tanto ad uno dei pilastri su cui si fonda il nostro Paese non sarebbe male.
L’Italia è tra gli ultimi in Europa per la spesa dedicata alla famiglia. Leggendo il dossier 2010 di Cittadinanzattiva, si nota che la spesa per la “protezione sociale” è pari al 26,6% del Pil, in linea con la media europea del 26,9%, ma solo il 4,6% del totale è destinato al capitolo “famiglia, maternità e infanzia”. Il restante 66,6% è destinato alle pensioni, il 26,5% al sistema sanitario e il 2,3% alla disoccupazione e ad altre forme di esclusione sociale.
Il 4,6% della spesa per la protezione sociale corrisponde all’1,4% del Pil (anche se in aumento rispetto all’1,2% dell’anno precedente), contro una media UE del 2,1%. Il nostro paese impallidisce se confrontato a Danimarca (3,7% del Pil), Svezia (3%) o con il 2,8% della Germania e il 2,5% della Francia.
A subirne le conseguenze sono soprattutto le donne. Le insufficienti risorse destinate alla maternità, fanno sì che quest’ultima venga vista dalle lavoratrici come una penalizzazione per la carriera e non hanno tutti i torti. Da uno studio condotto da Menageritalia emerge che il 25% delle donne occupate abbandona il lavoro dopo la maternità. L’abbandono dell’impiego è dovuto all’esigenza di accudire i figli. Esigenza che può condurre ad un peggioramento del rapporto di lavoro. Sull’assistenza per la prima infanzia, occupiamo sempre le posizioni più basse della classifica UE. La presenza di asili nido è del tutto insufficiente soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, in cui la copertura raggiunge percentuali ridicole come l’1,8% della Calabria. Non è un caso che il tasso di abbandono del proprio impiego, a seguito di una gravidanza, sia maggiore proprio nelle regioni con meno asili nido.
I problemi di conciliazione tra maternità e occupazione incidono negativamente sul tasso di natalità. In una ricerca pubblicata su Lavoce.info, Daniela Del Boca e Alessandro Rosina evidenziano come sia variato il numero di figli per donna in Emilia Romagna e in Campania. Le due regioni presentano livelli di occupazione femminile rispettivamente del 62% e del 27%. Negli ultimi 15 anni la prima è passata da un numero medio di figli per donna di 0,48 agli attuali 1,48, la seconda invece da 1,51 è scesa a 1,42. E’ importante notare come maggiori livelli di occupazione femminile non incidono negativamente sul livello delle nascite (come possono pensare alcuni), ma a giocare un ruolo determinante sono i servizi offerti dalle singole realtà locali.
Risorse insufficienti sono destinate anche per quel che riguarda gli assegni per nuovi nati, figli a carico, acquisto libri scolastici e altro ancora. Da questo punto di vista la Francia è la nazione che ha investito di più, ottenendo importanti risultati demografici (con una media di 2 figli per donna) e sociali (il tasso di occupazione femminile è del 60%, in Italia è del 47%, la Calabria non arriva neanche al 30%).
E’ ora che si cominci a rivalutare il ruolo della famiglia come principale fattore di sviluppo e crescita. Bisogna avviare una nuova fase, considerando ogni nuovo nato una risorsa futura per la comunità e un vantaggio economico per la famiglia, oltre che una gioia. Molte coppie rinunciano ad avere figli o ne rinviano il momento proprio per le preoccupazioni economiche che ne derivano. Bisogna intervenire per interrompere questa tendenza e invertirla con tutti gli strumenti necessari. Asili nido comunali, assegni familiari decenti, incentivi per le nuove nascite, assegni per l’acquisto di libri e altro, darebbero un impulso decisivo alla crescita sociale ed economica del nostro paese.

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