lunedì 30 agosto 2010

Non è un paese per giovani


Se la generazione dei nostri padri era quella del posto fisso, quella dei figli è sicuramente quella del posto flessibile. Da quando i nostri genitori cominciarono ad affacciarsi nel mondo del lavoro ad oggi, ne è passato di tempo. O meglio, ne sono successo di cose.
Solo per citarne qualcuna, il crollo del muro di Berlino, l’Unione Europea, la globalizzazione, tutti eventi che hanno cambiato l’equilibrio geopolitico ed economico del mondo.
Nonostante questi e altri cambiamenti, il nostro paese ha condotto una politica contraddittoria e ingenua, priva di programmazione lungimirante, basata su un incessante ricorso al debito pubblico per soddisfare interessi specifici e di breve periodo.
E’ chiaro come un sistema basato sul debito non era sostenibile nel lungo periodo e che prima o poi bisognava fare i conti con gli oneri accumulati negli anni.
Per la prima volta nella storia, il tenore di vita dei “figli” sarà inferiore a quello dei “padri” e non solo. Oltre a redditi minori, le nuove generazioni si trovano ad affrontare minori certezze reddituali e minore protezione sindacale. Si guadagna di meno, non si sa se si guadagna e non ci sono regole adeguate con le quali difendersi.
Si sente parlare di tradimento del patto generazionale.
Il nostro sistema di welfare, soprattutto la parte delle pensioni, richiede ingenti risorse finanziarie. Tutto è andato bene (per i miopi) fino a che non sono venuti a mancare alcuni requisiti fondamentali. In primis una diminuzione del tasso di natalità, la continua dequalificazione del lavoro e la comparsa dei lavoratori poveri (coloro che percepiscono uno stipendio troppo basso) hanno compromesso la sostenibilità dell’intero sistema. Sono state attuate varie soluzioni, dall’introduzione di nuovi contratti di lavoro, alla riforma del sistema pensionistico, ma sempre seguendo il principio “mettiamo in salvo gli anziani, gli altri ancora sono giovani poi si vedrà”. Il passaggio al sistema pensionistico “contributivo” equivale a una fuga con la cassa da parte della generazione precedente. A parte l’esagerazione della similitudine, la riforma era necessaria perché il vecchio sistema "retributivo" (basato sulla solidarietà tra generazioni) non era più sostenibile, quindi per sistemare un po’ le cose si è scelto di calcolare la pensione in base ai contributi versati nell’arco della vita lavorativa.
Non si è considerato, però, che allo stato attuale si riesce a versare qualche contributo a partire dai 30 anni.
Per farla breve una generazione ha usufruito di un sistema solidale, poi ha cambiato le regole dicendo “ora cavatevela da soli”. La flessibilità ha consentito una riduzione del tasso di disoccupazione, ma ha portato a una crescente dequalificazione del lavoro e l’insorgere di una categoria di giovani, che nonostante abbiamo un titolo di studio superiore a quello dei genitori hanno un reddito insufficiente.
Molti giovani con un’età inferiore ai 35 anni, lavorano (anche con contratti a tempo indeterminato), ma percepiscono uno stipendio basso, spesso inferiore ai 1.000 Euro o comunque non sufficiente per rispondere alle proprie esigenze o a quelle della propria famiglia.
Le riforme del mercato del lavoro sono state fatte seguendo la logica dei numeri, in questo caso l’obiettivo è stato la diminuzione del tasso di disoccupazione, tralasciando un altro aspetto del lavoro. Lo standard di “lavoro dignitoso e produttivo”, definito in ambito internazionale, è ancora lungi dall’essere perseguito. Le conseguenze di ciò sono la sensazione d’inutilità, l’insicurezza e la vulnerabilità che impediscono a un’intera generazione di dare il proprio contributo economico e di cambiamento all’intera società. L’instaurarsi di una forma di “gerontocrazia” chiusa e autoreferenziale, presenta evidenti limiti nell’affrontare i cambiamenti in atto nel mondo. Dalle nuove crisi finanziarie, ai cambiamenti geopolitici, al nuovo rapporto con l’ambiente e con le fonti di energia, si ha la sensazione che il nostro paese stia perdendo il passo con i tempi, mentre è ancora impegnato a discutere su vecchie ideologie scomparse, su secessioni e reality show.

1 commento:

  1. Come è vero quello che hai scritto. Le generazioni giovani vivono un forte disagio, non solo per la mancanza di lavoro.

    Ciao!!

    Roberta

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