sabato 24 aprile 2010

PD(F) - Partito Democratico Feudale


Un partito politico è una forma di associazione di persone accumunate da una comune visione su questioni fondamentali dello stato, della società o su temi specifici e particolari. La funzione principale del partito è di fare da mediazione tra lo Stato e i cittadini.
Attualmente in Italia, e in particolar modo in Calabria, questa funzione non viene svolta. Il Partito Democratico non solo non rappresenta i cittadini, ma neanche i suoi stessi iscritti. L’attività sul territorio è nulla, il ricambio generazionale non esiste e la maggior parte degli militanti non si riconosce nei vari dirigenti e coordinatori locali e nazionali.
Di fatto il PD in Calabria non esiste come “partito” nella concezione stretta del termine, ma esiste solo come entità politica capace di avere un ritorno elettorale dovuto a due ragioni, la prima è il voto inerziale di coloro che si riconoscono in uno schieramento politico indipendentemente dalle circostanze che si verificano e la seconda è il voto di contrapposizione allo schieramento avversario.
L’ultima sconfitta elettorale in Calabria è il risultato annunciato per un partito che non riesce ad esprimere alcuna idea innovativa e che non riesce a svolgere la sua vocazione progressista e riformista. La politica sul territorio non esiste, le sezioni sono diventate piccole roccaforti create ad hoc per avere una base di tesseramento che consenta la candidatura alle successive elezioni.
Si è così delineata una struttura di partito oligarchica, in cui si formano i vari piccoli feudi che fanno parte di una più ampia rete vassallatico-beneficiaria basata principalmente sullo scambio clientelare tra i vari portatori di preferenze e tessere. Gli eletti ai vari livelli, dal momento dell’insediamento hanno come priorità quella di organizzare e definire le alleanze per la creazione o il mantenimento della rete clientelare che assicuri il flusso di preferenze necessarie per la propria futura rielezione.
La discussione e la critica sono molto ridotte e in ogni caso punite con l’esclusione dalla rete vassallatica e quindi l’isolamento politico all’interno del partito.
La debolezza della segreteria nazionale che non riesce a imporsi nelle realtà locali, ha portato all’imposizione non solo di candidati non condivisi dagli elettori, ma anche di coordinatori regionali e provinciali non riconosciuti tali dagli iscritti poiché imposti dall’alto solo ed esclusivamente per controllare i livelli locali del partito. In queste condizioni, i coordinatori non svolgono alcun ruolo di coordinamento, ma una funzione di rappresentanza sul territorio del feudatario che li ha imposti, come i vassalli cui era concesso un beneficio in cambio di fedeltà verso il proprio signore.
Il caso Calabria è un esempio di rottura tra popolo e partito, gli iscritti non seguono le direttive di gruppo per il semplice fatto che non le condividono, ma non possono esprimerlo liberamente proprio perché non hanno rappresentanti interni capaci di portare avanti le loro istanze e l’unica arma che rimane, è il voto. Il fenomeno del voto disgiunto è il risultato di questa rottura ed il messaggio è chiaro, si tratta di una bocciatura a tutta la struttura del Partito Democratico da parte di coloro che speravano in un partito progressista e si sono ritrovati un partito feudale.

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