mercoledì 27 ottobre 2010

Il sacco generazionale

Il sistema pensionistico e le riforme sul mercato del lavoro sono alcuni dei tanti guai che la generazione passata lascierà in eredità a quella futura. L’irresponsabilità della politica, l’opportunismo dell’industria e dei sindacati, hanno compromesso l’equità sociale del nostro paese. Il paradosso che ne è scaturito, contrasta persino con le leggi della natura. Di solito sono i vecchi a sacrificarsi per i giovani. In Italia è avvenuto, o meglio sta avvendendo, il contrario. 
Ad un certo punto si è capito che i sistemi lavorativo e pensionistico non erano più sostenibili per vari motivi. Elevato debito pubblico, invecchiamento della popolazione e disoccupazione sono alcune tra le principali cause. Ma il problema su cui discutere è un altro. 
La nostra classe politica è restia a prendere decisioni impopolari, mentre è molto propensa a spostare l’onere delle scelte più difficili a “chi viene dopo”. E’ stato fatto questo quando si ricorreva all’indebitamento pubblico senza pensare (o meglio senza far capire alla gente) che prima o poi i debiti si pagano. Stessa cosa quando è stato introdotto il lavoro flessibile senza un’adeguata tutela dei lavoratori e quando è stata fatta la riforma pensionistica pensando solo ad una parte del paese è abbandonando l’altra. 
Abbandonando l’altra perché, invece di fare un scelta più equa tra la generazioni, si è deciso di fare un taglio netto. Una parte continuerà a ricevere la pensione con il vecchio sistema retributivo (basato sulla solidarietà generazionale), agli altri, più precisamente a quelli che hanno versato il primo contributo dopo il 31 dicembre 1995, sarà applicato il nuovo sistema contributivo. In pratica riceveranno meno e andranno in pensione più tardi. 

A riguardo la tabella, mostra la presunta età pensionabile in base all’anno di nascita e all’anno in cui si è iniziato a versare i contributi. Supponiamo che Paolo (nome di fantasia) sia nato nel 1977 e abbia iniziato a versare i contributi a circa 27 anni. Se incrociamo i dati sulla tabella scopriamo che, orientativamente, l’età pensionabile è di 66 anni. Se confrontiamo il dato con un nato nel 1960 a parità di inizio dell’età contributiva notiamo come la pensione arriva con 2 anni di ritardo. Vabbè, 2 anni potrebbero anche essere accettabili se non fosse per due ragioni. La prima riscontrabile direttamente dal grafico. Notiamo, infatti, che la casella che corrisponde a 66 anni è rossa. Vuol dire che è probabile uno slittamento in avanti dell’età pensionabile di circa 3 anni. Ciò vuol dire che la pensione potrebbe arrivare a 69 anni. La seconda è che con l’ultima riforma, l’età pensionabile sarà agganciata all’aspettativa di vita. Vuol dire che all’aumentare di quest’ultima si allontanerà anche il momento della pensione. Tradotto significa che per molti giovani c’è il rischio, fondato, di andare in pensione ad oltre 70 anni di età. Stesso discorso vale per l’importo della pensione che in base ai calcoli (previsionali), sempre in riferimento all’esempio precedente, dovrebbe aggirarsi intorno al 56% dell’ultima retribuzione. Se prima si aveva un reddito di 1.500 Euro nette al mese, l’assegno pensionistico sarà di circa 850 Euro mensili. 

Le nuove generazioni si sono trovate in mezzo ad un triangolo che le ha strangolate. Da una parte la politica che ha gestito (e continua a gestire) il paese in modo irresponsabile e scellerato. I sindacati che hanno limitato la loro tutela solo ad alcuni tipi di lavoratori (il grosso degli iscritti), lasciando senza protezioni la stragrande maggioranza dei giovani e dei precari. L’industria ha approfittato delle nuove forme di lavoro flessibile solo per riduzione dei costi aziendali, evitando le assunzioni a tempo indeterminato e condannando i lavoratori alla precarietà eterna. 
Il risultato è quello di aver lasciato metà del paese (i più colpiti sono i nato dopo il 1970 che sono circa 28milioni di persone) senza presente e con poche prospettive per il futuro. Ma non è finita. Le scelte politiche degli ultimi tempi non lasciano sperare niente di nuovo. I tagli alla scuola e all’università rischiano di compromettere anche la formazione culturale. 
Forse, ripensandoci, viste le prospettive, tagliare i fondi per l’istruzione è giusto, anche perché a che serve ad un ragazzo studiare se alla fine il suo futuro sarà in un call – center?

4 commenti:

  1. Nell'esempio hai preso la mia situazione. Io sono nato nel '77 e ho iniziato a versare i contributi a 27 anni. Pensa che ci sono persone con un lavoro precario che rischiano di andare in pensione con meno di 500 Euro al mese.
    Il post è molto interessante.

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  2. Si tratta di un vero è proprio "sacco". Nell'articolo hai individuato i veri colpevoli, politica-industria-sindacati. Ma la resposanbilità maggiore è della politica che non rappresenta i suoi cittadini ma è diventata un longa manus delle lobby.
    Ciao!

    Marina (Ge(

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  3. L'unica soluzione è il ricambio generazionale. Una volta la "potere" le nuove generazioni dovrebbero mettere un pò d'ordine in questo coas in cui sono state lasciate ed evitare che si riverificono cose simili
    Un saluto

    Roberta dalla Puglia

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  4. La situazione in Italia sul versante del lavoro e di conseguenza su quella delle pensioni è davvero drammatica

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