mercoledì 20 ottobre 2010

Tiro alla fune

Ci risiamo.
La manifestazione della Fiom a Roma ha riacceso il dibattito all’interno del PD tra coloro che erano a favore di una partecipazione attiva e coloro che rivendicano l’autonomia del partito. Come al solito il confronto tra le diverse correnti non si è fatto all’interno, ma è stato esternalizzato in una miriade di prese di posizioni personali (o di corrente) differenti. 
Visto da fuori, il partito appare confuso e senza una linea unitaria capace di sintetizzare le varie anime che lo compongono. Le divisioni indeboliscono la leadership, già di per sé debole. Il segretario nazionale, Bersani, nel tentativo di tenere tutti insieme preferisce non decidere. 
A questo punto è lecito porsi una domanda. Se il leader non decide, allora a che serve? Tanto vale, creare una specie di consiglio di amministrazione, un consiglio di segreteria, con i capi di tutte le correnti interne al partito. Non vedo altre soluzioni se neanche le primarie consentono di eleggere un segretario forte. 
A parte l’ironia, per quanto tempo pensano di poter continuare così? Il dato certo è che questo tiro alla fune non può durare all’infinito e solo una leadership forte può far rientrare tutti nei ranghi. La fase di stallo che si sta attraversando sta costando cara in termini elettorali, perché altri partiti, come IDV, SEL, i Grillini, ma anche l’UDC e FLI, stanno acquisendo consenso proprio nel bacino elettorale potenziale del PD. 
L’ambiguità che caratterizza l’attività del partito sta lasciando il centro sinistra senza coordinamento e facilitando la vita al governo che opera senza una vera opposizione. Sui temi più importanti non siamo ancora in grado di parlare con una voce chiara e univoca. In un’intervista Bersani ha affermato che “il compito del partito è avere un progetto suo e non misurare le distanze da un sindacato”. Bene, ma quanto tempo bisogna aspettare prima di avere questo progetto? Continuiamo a ripetere frasi fatte e retoriche, senza seguito nei fatti. Le contraddizioni che scoppiano proprio in concomitanza di alcuni eventi sono il segnale della mancanza di una linea unitaria. Neanche l’evidente crisi di Berlusconi è riuscita a fare da scatenante per la definizione di una politica comune. I dubbi da parte degli elettori e dei suoi stessi iscritti restano molti. 
La conclusione, a cui lentamente si arriverà, sarà quella di capire che senza una svolta generazionale, senza un innesto di nuove idee e nuove prospettive questo partito sarà condannato a navigare in un limbo politico. Così come sta avvenendo in Calabria, dove si stanno proprio scontando le “non decisioni” (che andavano prese in passato) dai dirigenti nazionali che hanno permesso alla lobby loieriana di affondare il PD Calabrese. Chi pensava che per creare un nuovo partito sarebbe bastata solo una nuova nomenclatura si è sbagliato e si sbaglierà ancor di più chi pensa di poterlo dirigere senza assumersi la responsabilità di decidere.

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