mercoledì 27 ottobre 2010

Il sacco generazionale

Il sistema pensionistico e le riforme sul mercato del lavoro sono alcuni dei tanti guai che la generazione passata lascierà in eredità a quella futura. L’irresponsabilità della politica, l’opportunismo dell’industria e dei sindacati, hanno compromesso l’equità sociale del nostro paese. Il paradosso che ne è scaturito, contrasta persino con le leggi della natura. Di solito sono i vecchi a sacrificarsi per i giovani. In Italia è avvenuto, o meglio sta avvendendo, il contrario. 
Ad un certo punto si è capito che i sistemi lavorativo e pensionistico non erano più sostenibili per vari motivi. Elevato debito pubblico, invecchiamento della popolazione e disoccupazione sono alcune tra le principali cause. Ma il problema su cui discutere è un altro. 
La nostra classe politica è restia a prendere decisioni impopolari, mentre è molto propensa a spostare l’onere delle scelte più difficili a “chi viene dopo”. E’ stato fatto questo quando si ricorreva all’indebitamento pubblico senza pensare (o meglio senza far capire alla gente) che prima o poi i debiti si pagano. Stessa cosa quando è stato introdotto il lavoro flessibile senza un’adeguata tutela dei lavoratori e quando è stata fatta la riforma pensionistica pensando solo ad una parte del paese è abbandonando l’altra. 
Abbandonando l’altra perché, invece di fare un scelta più equa tra la generazioni, si è deciso di fare un taglio netto. Una parte continuerà a ricevere la pensione con il vecchio sistema retributivo (basato sulla solidarietà generazionale), agli altri, più precisamente a quelli che hanno versato il primo contributo dopo il 31 dicembre 1995, sarà applicato il nuovo sistema contributivo. In pratica riceveranno meno e andranno in pensione più tardi. 

A riguardo la tabella, mostra la presunta età pensionabile in base all’anno di nascita e all’anno in cui si è iniziato a versare i contributi. Supponiamo che Paolo (nome di fantasia) sia nato nel 1977 e abbia iniziato a versare i contributi a circa 27 anni. Se incrociamo i dati sulla tabella scopriamo che, orientativamente, l’età pensionabile è di 66 anni. Se confrontiamo il dato con un nato nel 1960 a parità di inizio dell’età contributiva notiamo come la pensione arriva con 2 anni di ritardo. Vabbè, 2 anni potrebbero anche essere accettabili se non fosse per due ragioni. La prima riscontrabile direttamente dal grafico. Notiamo, infatti, che la casella che corrisponde a 66 anni è rossa. Vuol dire che è probabile uno slittamento in avanti dell’età pensionabile di circa 3 anni. Ciò vuol dire che la pensione potrebbe arrivare a 69 anni. La seconda è che con l’ultima riforma, l’età pensionabile sarà agganciata all’aspettativa di vita. Vuol dire che all’aumentare di quest’ultima si allontanerà anche il momento della pensione. Tradotto significa che per molti giovani c’è il rischio, fondato, di andare in pensione ad oltre 70 anni di età. Stesso discorso vale per l’importo della pensione che in base ai calcoli (previsionali), sempre in riferimento all’esempio precedente, dovrebbe aggirarsi intorno al 56% dell’ultima retribuzione. Se prima si aveva un reddito di 1.500 Euro nette al mese, l’assegno pensionistico sarà di circa 850 Euro mensili. 

Le nuove generazioni si sono trovate in mezzo ad un triangolo che le ha strangolate. Da una parte la politica che ha gestito (e continua a gestire) il paese in modo irresponsabile e scellerato. I sindacati che hanno limitato la loro tutela solo ad alcuni tipi di lavoratori (il grosso degli iscritti), lasciando senza protezioni la stragrande maggioranza dei giovani e dei precari. L’industria ha approfittato delle nuove forme di lavoro flessibile solo per riduzione dei costi aziendali, evitando le assunzioni a tempo indeterminato e condannando i lavoratori alla precarietà eterna. 
Il risultato è quello di aver lasciato metà del paese (i più colpiti sono i nato dopo il 1970 che sono circa 28milioni di persone) senza presente e con poche prospettive per il futuro. Ma non è finita. Le scelte politiche degli ultimi tempi non lasciano sperare niente di nuovo. I tagli alla scuola e all’università rischiano di compromettere anche la formazione culturale. 
Forse, ripensandoci, viste le prospettive, tagliare i fondi per l’istruzione è giusto, anche perché a che serve ad un ragazzo studiare se alla fine il suo futuro sarà in un call – center?

mercoledì 20 ottobre 2010

Tiro alla fune

Ci risiamo.
La manifestazione della Fiom a Roma ha riacceso il dibattito all’interno del PD tra coloro che erano a favore di una partecipazione attiva e coloro che rivendicano l’autonomia del partito. Come al solito il confronto tra le diverse correnti non si è fatto all’interno, ma è stato esternalizzato in una miriade di prese di posizioni personali (o di corrente) differenti. 
Visto da fuori, il partito appare confuso e senza una linea unitaria capace di sintetizzare le varie anime che lo compongono. Le divisioni indeboliscono la leadership, già di per sé debole. Il segretario nazionale, Bersani, nel tentativo di tenere tutti insieme preferisce non decidere. 
A questo punto è lecito porsi una domanda. Se il leader non decide, allora a che serve? Tanto vale, creare una specie di consiglio di amministrazione, un consiglio di segreteria, con i capi di tutte le correnti interne al partito. Non vedo altre soluzioni se neanche le primarie consentono di eleggere un segretario forte. 
A parte l’ironia, per quanto tempo pensano di poter continuare così? Il dato certo è che questo tiro alla fune non può durare all’infinito e solo una leadership forte può far rientrare tutti nei ranghi. La fase di stallo che si sta attraversando sta costando cara in termini elettorali, perché altri partiti, come IDV, SEL, i Grillini, ma anche l’UDC e FLI, stanno acquisendo consenso proprio nel bacino elettorale potenziale del PD. 
L’ambiguità che caratterizza l’attività del partito sta lasciando il centro sinistra senza coordinamento e facilitando la vita al governo che opera senza una vera opposizione. Sui temi più importanti non siamo ancora in grado di parlare con una voce chiara e univoca. In un’intervista Bersani ha affermato che “il compito del partito è avere un progetto suo e non misurare le distanze da un sindacato”. Bene, ma quanto tempo bisogna aspettare prima di avere questo progetto? Continuiamo a ripetere frasi fatte e retoriche, senza seguito nei fatti. Le contraddizioni che scoppiano proprio in concomitanza di alcuni eventi sono il segnale della mancanza di una linea unitaria. Neanche l’evidente crisi di Berlusconi è riuscita a fare da scatenante per la definizione di una politica comune. I dubbi da parte degli elettori e dei suoi stessi iscritti restano molti. 
La conclusione, a cui lentamente si arriverà, sarà quella di capire che senza una svolta generazionale, senza un innesto di nuove idee e nuove prospettive questo partito sarà condannato a navigare in un limbo politico. Così come sta avvenendo in Calabria, dove si stanno proprio scontando le “non decisioni” (che andavano prese in passato) dai dirigenti nazionali che hanno permesso alla lobby loieriana di affondare il PD Calabrese. Chi pensava che per creare un nuovo partito sarebbe bastata solo una nuova nomenclatura si è sbagliato e si sbaglierà ancor di più chi pensa di poterlo dirigere senza assumersi la responsabilità di decidere.

lunedì 18 ottobre 2010

Figli di ...

Dopo Renzo, figlio di Umberto, ora tocca a Geronimo, figlio di Ignazio, a Eros, fidanzato di Michela e Massimiliano, figlio di Bruno. Escludendo il primo, che dopo essere stato bocciato a scuola da professori chiaramente meridionali, per premio e per le sue indiscusse capacità, il papà l’ha fatto candidare ed eleggere consigliere regionale in Lombardia, Geronimo, Eros e Massimiliano sono nuovi membri del Cda dell’AC Milano.
Tempo fa, dopo le dimissioni di alcuni consiglieri di amministrazione dell’Automobile Club di Milano, l’associazione è stata commissariata dal Ministero del Turismo. Quest’ultimo ha pensato di cambiare il vecchio Cda con membri più “giovani”. 
Benissimo verrebbe da dire. Se non fosse che tra questi membri (tutti, chi più chi meno, con un bel conflitto d’interessi alle spalle) ci sono il figlio del Ministro alla Difesa La Russa, il fidanzato del Ministro al Turismo Brambilla e Massimiliano Ermoli, figlio di Bruno uno degli uomini più vicini al Premier. 
Altro che rinnovamento del Cda, mi sa che si sono proprio sistemati i parenti. Questi guardano alla sostanza, al cosiddetto “quibus”. Non sono superficiali, sono persone concrete, che sanno quello che vogliono. Non si lasciano confondere da fuorvianti parole come “Meritocrazia”. Anzi come direbbe il famoso Cetto Laqualunque, interpretato da Antonio Albanese… ‘nto c… alla meritocrazia”. 
Tutto ciò avviene in un periodo di crisi economica, in una fase di difficoltà generale che colpisce soprattutto i giovani. Le ultime rilevazioni Istat parlano di un tasso di disoccupazione giovanile quasi al 30%, con alcune regioni (meridionali) in cui supera il 40%. Considerando che buona parte degli occupati ha un lavoro flessibile, tipo call - center, ci rendiamo conto che si tratta di numeri da allarme sociale. 
Questo, però, riguarda il mondo di sotto, non quello di sopra. Nel primo esistono le crisi, si possiedono lauree e non si trova lavoro, si viene arrestati quando si commettono reati e si pagano le tasse. Insomma è un mondo proprio brutto. In quello di sopra invece regna l’ottimismo, non esistono crisi economiche e nel caso si verificassero vengono subito superate, si possono commettere reati e non essere arrestati oppure si possono raccontare bugie e contraddirsi senza rendere conto a nessuno. 
Il messaggio che si manda ai cittadini è sempre più inquietante. E’ incredibile come nella nostra società sia ancora determinante l’appartenenza o il legame parentale. La mobilità sociale si sta appiattendo, per non parlare del merito che non conta quasi più nulla. 
In Italia le persone “normali” sono diventate i veri clandestini. 
Quando qualcuno vince un concorso, la prima cosa che ci si chiede è dove avrà trovato la raccomandazione. Non si pensa ai meriti che si possono possedere, ma s’indaga su chi può averlo favorito. 
Siamo abituati a convivere con questo meccanismo, tant’è che sembra quasi impossibile fare carriera o avere successo solo con le proprie forze. Viviamo in una specie di realtà distorta, in cui bisogna “pagare per vendersi” come diceva Balzac. "Chi appartiene a …”, “chi fa parti di …” e soprattutto “chi è figlio di …” non vuole vedere questa “distorsione”. Anzi cerca di farla passare per la normalità. Per chi invece capisce di vivere in una società di questo tipo, la realtà appare demoralizzante al limite con la fantascienza. Da qui l’irritazione nel vedere persone, chiaramente incompetenti, ricoprire il ruolo di parlamentari o addirittura ministri oppure il Presidente del Consiglio fare il cretino con ragazzine o raccontare barzellette.

giovedì 7 ottobre 2010

Ai confini dello Stato

Discendendo la penisola, superata la Capitale, si attraversa un confine invisibile. Oltre questo confine c’è il Sud. Inizia la parte meridionale dello stivale. Inizia il Far Sud italiano, il fronte della lotta tra Stato democratico e antistato
Da qualche anno in Calabria si assiste a un incremento del fenomeno violento della ‘ndrangheta. Le minacce subite dai giudici a Reggio Calabria, l’aumento d’intimidazioni ai danni di sindaci, le aggressioni agli imprenditori, l’incremento degli omicidi, sono segni inequivocabili di una ‘ndrangheta molto attiva sul territorio. Inoltre si registra un aumento delle attività criminali delle ‘ndrine (così si chiamano le succursali delle holding delle famiglie ‘ndranghetiste) al Nord Italia in particolar modo a Milano, dove sembra si siano accorti dell’esistenza del fenomeno solo da qualche anno. Forse dove non si tratta di propaganda e quote latte la Lega preferisce tenersi alla larga. 
In provincia di Catanzaro, negli ultimi due anni, sono aumentati gli omicidi, alcuni dei quali effettuati davanti alla popolazione civile in pieno giorno. A Soverato, importante località turistica della provincia e della regione, quest’estate un uomo è stato assassinato sulla spiaggia davanti alla propria famiglia alle 19,00, orario in cui la spiaggia e la cittadina erano affollate di turisti. Nello stesso periodo a Palermiti, paesino montano sempre in provincia di Catanzaro, un uomo è stato ucciso durante la festa patronale, mentre aveva in braccio il figlio piccolo (rimasto ferito nell’agguato). Per non parlare della cosiddetta “Faida dei Boschi” che sta coinvolgendo il basso ionio catanzarese, l’alto ionio reggino e le serre vibonesi, degli attentati di Reggio e dell’escalation di criminalità che sta colpendo anche il capoluogo di regione un tempo considerato l’isola felice della Calabria. Senza considerare altri omicidi, sparizioni e aggressioni che deprimono la parte civile e demoralizzano soprattutto i giovani calabresi. 
Attraversando alcune aree della regione si capisce di essere in zone off-limits. Il paesaggio è caratterizzato da casolari, costruzioni, opere pubbliche incompiute e abbandonate. Il degrado è elevato e i segnali stradali sono pieni di fori di proiettile. In molti casi la popolazione civile è assuefatta a vivere in queste condizioni. Tant’è che si sente spesso ripetere la frase “… ma noi non c’entriamo niente, s’ammazzano tra di loro”. Chi pensa questo s’illude, ingenuamente, che si può convivere con la ‘ndrangheta. La maggior parte degli omicidi e atti criminali vengono compiuti per motivi economici, per affari come dicono loro. La ‘ndrangheta è innanzitutto un’organizzazione economica che cerca di ottenere profitto senza rispettare le regole. Il problema è che questi, gli affari li fanno a discapito della società civile. 
La loro attività compromette la realizzazione d’importanti e vitali opere infrastrutturali, impedendo l’emancipazione culturale, lo sviluppo turistico, facendo strozzinaggio ai piccoli imprenditori, impedendo la governabilità della regione e costringendo parecchi giovani ad andare via. E’ vero si ammazzano tra di loro, ma lo fanno per decidere chi ha il “diritto” di sfruttare la società civile. Sono come un cancro che avanza e cerca di prendere il controllo di un corpo sano, indebolendolo sempre di più. 
Non si può convivere senza rinunciare a una fetta della propria libertà. Se questo cancro non porta al decesso, comunque non consente di vivere libero. Qualche settimana fa, è stata organizzata una manifestazione a Reggio Calabria in risposta alla bomba fatta esplodere di fronte l’abitazione del Procuratore Generale Di Landro. L’evento è stato organizzato dal Quotidiano della Calabria. 
Ebbene sì, non è stata organizzata da un partito politico, da un personaggio politico o da chiunque abbia ricevuto il mandato a rappresentare i propri cittadini, ma da un giornale.

lunedì 4 ottobre 2010

Questione di malcostume

Il fallito agguato al direttore Belpietro è l’ultimo atto di un clima politico e sociale troppo teso. La sensazione è che siamo vicini al punto di non ritorno. 
La degenerazione della politica sta conducendo il paese oltre il confine tra ciò che è lecito e ciò che non è lecito. 

E’ lecito attaccare gli avversari politici mediante i contenuti e la dialettica, non è lecito farlo ricorrendo a falsità e ricatti. E’ lecito mantenere lo scontro politico entro livelli socialmente accettabili, non è lecito portarlo all’interno della società civile. E’ lecito coinvolgere emotivamente l’elettorato, non è lecito sfruttare l’emotività per scopi elettorali. 

L’attuale dibattito politico non è più sostenibile da un paese che deve affrontare numerose difficoltà e che si sente poco protetto dai suoi rappresentati. E’ diffusa in molti, la convinzione che ormai per tirare avanti bisogna cavarsela da soli. Come se non facessimo parte di una comunità. 
Il malcostume politico in atto da diversi anni, sta compromettendo la coesione sociale e favorendo l’affermazione di un rancore diffuso che diventa sempre più difficile da gestire. La responsabilità politica è a livelli minimi. Basta leggere i quotidiani o assistere ai dibattiti in Tv. Si spara a zero su tutto pur di prevalere sull’avversario. Si ricorre alla “diffamazione” per intimidire chi tenta di criticare e si fanno proclami pubblici contro le istituzioni dello Stato. Tutto ciò per difendere interessi personali o specifici. La querelle tra Berlusconi e Fini ne è un esempio evidente. Il Presidente della Camera fu addirittura avvertito su un quotidiano che avrebbe subito gravi ripercussioni se avesse continuato a esprimersi liberamente. Così è stato, oltre all’espulsione dal PDL,  si è visto catapultato in uno “scandalo” immobiliare che comunque poco ha a che fare con la politica. 
La sobrietà è stata sostituita dagli eccessi. Il confronto dallo scontro
Non è un caso che in questo clima, sembra, siano spariti dalle TV gli intellettuali. Quella classe (da sempre scomoda a molti) che con il loro pensiero libero e innovativo favorisce la creazione di una coscienza sociale critica. Negli ultimi anni non c’è un libro, un film, un’opera o un’invenzione che abbia fatto parlare il mondo dell’Italia. Il nostro paese viene citato solo riguardo alle spregiudicatezze del suo Presidente del Consiglio. Il vuoto lasciato dal pensiero è stato occupato dalla leggerezza dell’essere, dalla deresponsabilizzazione dell’individuo. 
E’ così vediamo apparire, sul principale mezzo di comunicazione di massa, tanti "signor nessuno” armati di retorica, ripetere frasi fatte per apparire meritevoli di essere famosi. Coloro sono i protagonisti utilizzati per compiere il processo di disgregazione sociale in atto. Sono coloro che contribuiscono alla creazione del nulla. Il loro compito è coprire la realtà, mascherandola con falsi miti, come l’eterna giovinezza, il guadagno facile, la normalizzazione di comportamenti censurabili quali l’uso di droghe o il sesso facile. Il problema principale è che, a esserne più esposti sono le classi adolescenziali, che rischiano di crescere con false prospettive e senza punti di riferimento stabili. Tutto ciò è aggravato dalle continue strapazzate che i governi stanno dando alla scuola. 
Intanto il vuoto politico si allarga e il paese rimane senza una guida. Impegnato a discutere su escort, case e tenere sempre il dibattito fermo sulle continue “querelle” che vedono coinvolto Berlusconi. Non viviamo in una dittatura, ma sicuramente stiamo assistendo ad una trasformazione della democrazia in senso negativo. Il processo è in continua evoluzione, non si sa quanto durerà e a cosa porterà. E’ necessario riportare il dibattito politico a livelli sostenibili dalla società, deve finire lo scontro tra le varie istituzioni dello Stato democratico, altrimenti si rischia di uscirne con le ossa rotte.

venerdì 1 ottobre 2010

... e ho detto tutto


Mancava solo che chiudesse il discorso dicendo “…e ho detto tutto”. Famosa frase recitata dal grande Peppino De Filippo nell'immortale film “Totò, Peppino e la malafemmina”.
In effetti,  il Presidente del Consiglio ha detto tutto, ma davvero tutto, con la solita retorica che ha sempre contraddistinto il suo modo di fare politica. Niente di nuovo quindi, i soliti discorsi immaginari di un personaggio contraddittorio completamente distaccato dalla situazione reale che sta attraversando il paese. Ci sarebbe dovuto essere, Totò, che (nel medesimo film), risponde stizzito al fratello (Peppino) con la frase“… ma che dici co st’ho detto tutto che non dici mai niente”.
I cinque punti di ribollita”, come l’ha definita il segretario del PD Bersani. D’altronde non si possono fare altri commenti a un discorso nel quale sono ripetute, da oltre 15 anni, le solite cose. Può essere normale anche addormentarsi durante il dibattito al Senato, com’è successo allo stesso Berlusconi, costretto ad ascoltare (oltre al suo discorso), interventi al limite del vaneggiamento come quello del Sen. Cirrapico (74 anni) che nell’accusare Fini di tradimento utilizza uno strano paragone di stampo anti-semita. Dopo tutto, non si può pretendere la massima lucidità da persone anziane. 
A dir la verità, se si trattasse di un’opera teatrale sarebbe anche piacevole assistervi, se non fosse che si tratta della nostra classe dirigente. Di quelli che comandano insomma e che spesso dimenticano che stiamo attraversando una fase economica molto delicata, in cui altri paesi a noi vicini sono riusciti a prendere le giuste contromisure strutturali (no una tantum) economiche e politiche. A riguardo è di pochi giorni l’elezione del nuovo leader dei laburisti inglesi, Ed Milliband (41 anni). Il suo compito è quello di capo dell’opposizione al governo inglese guidato dal Premier David Cameron, anch’esso un quarantenne. Si tratta di proporre gente nuova per affrontare problemi nuovi. 
In Italia invece si assiste a un continuo riciclo d’idee e di volti, i promotori di rinnovamento sono le stesse persone dalle quali si dovrebbe cambiare. Tutto falsato dall’inizio, tutto nasce con un peccato originale che ne compromette il sano sviluppo. Così come non è stato innovatore il Partito Democratico, non lo sarà FLI e tantomeno i vari partitini che nascono come funghi. Non può essere nuova una cosa creata da un vecchio, quest’ultimo può solo gettare le basi per qualcosa di nuovo, mettere a disposizione l’esperienza, ma proprio per il fatto di essere nuova deve essere gestita da persone nuove, altrimenti è comunque vecchia. 
Si è parlato in questi giorni, da ambo le parti, di teatrino della politica, ognuno accusa l’altro di farne parte e sembra che Bersani abbia addirittura individuato l’impresario (anche se non c'erano dubbi su chi fosse).
Forse si tratta veramente di un teatrino, hanno ragione, ma il problema è che non si sono accorti di esserne tutti protagonisti. Ognuno ha il proprio ruolo, ci sono gli attori principail, ma anche quelli minori. Nel PDL c’è un unico regista a cui piace produrre spettacoli esilaranti e di fantascienza, nel PD c’è un pool di direttori di scena che prediligono spettacoli malinconici, nella Lega invece il regista è un comico. 

Insomma, ognuno mette del suo per continuare a tenere in vita il teatrino.
E pensare che ancora non siamo in campagna elettorale. 

Allora si che ne vedremo delle belle.

lunedì 27 settembre 2010

Come il due di briscola

Nell’assegnazione delle ambasciate europee, al nostro paese sono andate le briciole. L’Albania e in extremis l’Uganda, questi i due paese in cui ci sarà un ambasciatore italiano in rappresentanza dell’Unione Europea. Considerando che la Germania ha ottenuto due paesi, tra cui la Cina, la Spagna tre, tra cui l’Argentina, la Francia tre, tra cui Ciad e Zambia (con i quali ha interessi strategici), a Washington c’è un portoghese e in Giappone un Austriaco, ci accorgiamo subito dell’ennesimo due di picche che ci è stato rifilato. 
Dico l’ennesimo perché a esso va aggiunta anche la bocciatura, di qualche anno fa, per il posto di Alto Rappresentante per la politica estera (cui aspirava D’Alema). Senza contare la perdita dell’inviato speciale UE in Afghanistan, ruolo fin'ora detenuto da un italiano e che non abbiamo rappresentanti neanche nella struttura del S.E.A.E. (Servizio Europeo per l’Azione Esterna) in cui sono presenti un francese, una tedesca, un irlandese, un polacco e un danese. 
Eppure siamo tra i maggiori paesi del continente sia dal punto di vista demografico, sia economico, siamo tra i fondatori della Comunità Europea, oltre ad essere un popolo di europeisti convinti (al contrario di altri). Nonostante ciò, il nostro ruolo in Europa è sempre più marginale. Anche il The Economist in un articolo del 29 luglio scorso si chiedeva perché il nostro paese conta così poco. Secondo il settimanale britannico la risposta è che “per l’Italia, l’UE è qualcosa di noioso. Berlusconi, in politica estera, riserva il suo entusiasmo per le sue relazioni personali e diplomatiche soprattutto con paesi come la Turchia, la Russia, la Libia, la Bielorussia tutti paesi al di fuori dell’Ue che ispirano molte perplessità da parte di Bruxelles … ”. E’ ormai evidente l’inconsistenza della nostra politica estera (sempre che ce ne sia una), aggravata anche da uno scarso coordinamento tra i vari ministeri interessati. A riguardo proprio qualche giorno fa, dopo l’assegnazione delle ambasciate, il ministro Frattini ha commentato dicendo che si tratta di normale rotazione”, mentre il ministro Ronchi ha parlato di marginalizzazione su larga scala del sistema Italia”. La verità è che la politica estera italiana è basata, esclusivamente, sui poco chiari rapporti personali che il Premier continua a mantenere con personaggi del calibro di Putin e Gheddafi in primis. Senza considerare, le gaffes commesse dal nostro Presidente del Consiglio in importanti incontri internazionali, le decisioni (promosse dalla Lega) contro gli sbarchi dei clandestini e l’ultima uscita (spudoratamente opportunistica) di Berlusconi a favore di Sarkozy sulla questione Rom.
La famosa politica del “cucù” non sta dando i suoi frutti, anzi ci sta facendo spendere il poco credito internazionale che ci eravamo guadagnati col tempo. La visione che all’estero si ha di Berlusconi sfiora il ridicolo, viene visto più come un’affarista che come un capo di stato e spesso, come sottolineato su alcuni giornali internazionali, le sue battute vengono accettate con sorrisi di circostanza per evitare di offendere il paese che rappresenta. La politica estera è una cosa seria, in cui non si ottiene nulla con le battutine di spirito, ma ci vuole gente competente, capace di programmare una strategia unitaria e di farsi rispettare nelle occasioni che contano. La diplomazia è fondamentale anche per lo sviluppo economico del paese, basta guardare gli ultimi risultati economici della Germania, ottenuti grazia a importanti interventi diplomatici e industriali in Cina e in altri paese in via di sviluppo. Farsi sentire all’estero è un dovere per il governo italiano anche in virtù del fatto che l’Italia è uno dei paesi più impegnati nelle missioni di peace – keeping, in cui vengono messe a rischio le vite dei militari italiani. Non riuscire a far valere l’impegno e le risorse impiegate per partecipare al mantenimento della pace aggrava ancor di più il fallimento di questo governo.